Era il 1977 la prima volta che Andy Warhol entrò nel mio negozio di New York, l’unico che avesse anche una caffetteria, dove si organizzavano eventi culturali trasformandosi in un palcoscenico curioso coraggioso e ludico, e rimase talmente affascinato da decidere che quella era la location ideale per lanciare le copie della sua rivoluzionaria rivista Interview.
Ogni sabato per un mese intero lui arrivava elegante con giacca e cravatta, distaccato ed etereo.
Warhol rappresentava la punta di diamante di quella grande concentrazione artistica che faceva di New York il centro culturale più importante del mondo e quando lo conobbi era già un mito: non muoveva un passo senza che la televisione lo seguisse e tutti quelli che si occupavano di avanguardia si auguravano di incrociarlo sulla propria strada.
Entrare a far parte della sua mitica Factory, incredibile fucina creativa e luogo di sperimentazioni, equivaleva a diventare famosi artisti, perché il fondatore aveva una sensibilità unica nel riconoscere l’estro e la genialità, possedeva un ricettore continuamente acceso straordinario osservatore del suo tempo e indagatore di anime.
L’arte, secondo Andy Warhol, era tutta intorno a noi.
Quando, per la prima volta, ebbi la fortuna di essere invitato a casa sua, al di là dell’atmosfera che regnava in quell’enorme loft elegantemente arredato, la cosa che mi stupì maggiormente furono i quadri appesi alle pareti: era la più bella raccolta di dipinti inglesi di paesaggi dell’800 che avessi mai visto.
Rimasi letteralmente incantato dal grande contrasto tra le sue sperimentazioni artistiche e il suo mondo privato, intimo e così sensibile, lontano dagli stereotipi dell’artista maledetto.
Un’altra magia che ci univa fu che entrambi avevamo iniziato disegnando scarpe, oltre ad essere inesauribili curiosi con il gusto della scoperta, amare il colore ed essere completamente immersi nella nostra contemporaneità.
Tra i tanti personaggi che ho conosciuto Warhol è stato quello che ho sentito più vicino dal punto di vista creativo e il suo esempio mi ha dato la fiducia e il coraggio di perseguire la mia visione; la sua arte non mi ha mai fatto sentire solo, era un’energia creativa di segni di un’epoca in cui tutti potevano facilmente riconoscersi, a New York come a Milano.
Il 21 dicembre 1983 Andy Warhol annotava nel suo diario: “Andato da Fiorucci, è proprio un luogo divertente. È tutto ciò che ho sempre voluto, tutta plastica. E quando esauriscono qualche articolo non credo lo ripetano. Che ragazzini deliziosi.”
<Elio Fiorucci>
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